Pubblichiamo il testo della lettera rivolta questa mattina dall’avvocato Angelo Pisani al premier Matteo Renzi sul caso Maradona
Al presidente del Consiglio dei ministri MATTEO RENZI
e per conoscenza al ministro della Giustizia ANDREA ORLANDO
Diego Armando Maradona: una vicenda gravemente incostituzionale che va contro gli interessi del Paese e nuoce all’immagine dell’Italia nel mondo
Egregio presidente Renzi
L’Italia, l’Europa e il mondo guardano alla Sua azione di governo come alla strada maestra per riportare il nostro Paese su livelli di competitività internazionale e rilanciare l’immagine di una nazione che è stata tradizionalmente culla del Diritto.
Nel vasto panorama di azioni messe in campo da Lei e dal Suo esecutivo in tale direzione, esiste tuttavia una vicenda scandalosa che, trascinandosi assurdamente da anni, rappresenta un autentico oltraggio alle regole del Diritto e della Costituzione, apertamente violate. Tale vicenda, che coinvolge un simbolo del panorama sportivo mondiale come Diego Armando Maradona, oltre a mortificare i diritti personali del campione, continua a generare riflessi negativi sull’immagine del Paese e preoccupazione per chiunque voglia intrattenere rapporti commerciali con un’Italia in cui si perseguitano anche personalità di livello internazionale, brandendo pretese fiscali non dovute e già giudicate categoricamente illegittime dalla magistratura, oltre che indubbiamente incostituzionali.
La vera storia giuridica di questa paradossale via crucis, che vede vittima del nostro fisco, cieco e arrogante, un campione del mondo, in realtà non è stata raccontata compiutamente e correttamente da tutti gli organi d’informazione nostrani, a differenza di quanto avvenuto all’estero, dove la vicenda di Maradona è nota. La conseguenza è che l’italiano comune – e spesso, per mancanza di approfondimenti, anche chi riveste cariche istituzionali – è convinto che Maradona sia un furbo evasore che ha cercato di farla franca, prima di essere stanato dai nostri implacabili esattori. Ma non è così! La verità è esattamente l’opposto, e a dimostrarlo ci sono inconfutabili documenti ed incontrovertibili sentenze!
Provo a riassumere in pochissime battute le più clamorose illegittimità di tutta questa storia (in allegato i suoi esperti, se vorranno, troveranno tutti i riferimenti normativi connessi).
Nel 1991 l’Agenzia delle Entrate notifica al solo Calcio Napoli di aver effettuato un accertamento sull’ipotesi di una interposizione fittizia riguardante i tre calciatori stranieri Maradona, Careca e Alemao nella loro veste di dipendenti della Società Calcio Napoli. Due successive sentenze della Commissione Tributaria (126/01/1994 e 598/01/2013) stabiliscono che tale ipotesi non è fondata e nelle more la Società Calcio Napoli aderisce anche al condono tombale per sé e per i dipendenti come Maradona. Fa ancor di più la Procura della Repubblica (pubblico ministero Luigi Frunzio), che negli stessi anni archivia le indagini a carico della società e dei tre giocatori, stabilendo che nessun illecito tributario è stato commesso. Lo stesso Calcio Napoli poi, per massima prudenza, in sede fallimentare regolarizza il condono tombale su qualsiasi eventuale pendenza fiscale. Pertanto la pretesa del fisco, seppur non dovuta, veniva pagata dalla Società.
Di che parliamo, allora? Da dove nasce la “caccia all’uomo” con tanto di aggressioni personali ai danni di Maradona ogni volta che mette in Italia il suo “pibe de oro”?
Nasce esclusivamente da un problema di pretestuosi cavilli su presunte notifiche non contestate, come ha stabilito la Cassazione nella famosa sentenza del 2005: che nulla dice sulla liceità o meno della pretesa fiscale, ma con una sentenza di mero rito dichiara solo l’avvenuta notifica nel 2001 al Campo Paradiso di Soccavo: impianto all’epoca già chiuso da anni, mentre Diego era da tempo all’estero ricoverato in clinica.
Questo, insomma, è quello che avviene impunemente in Italia, dove esiste un sistema fiscale che può permettersi di pretendere tributi da un contribuente – pur sapendolo innocente sulla base di sentenze passate in giudicato – e non per l’esistenza di una violazione, ma solo per la notifica di un avviso errato, su una tassa non dovuta, ma non opposto nei termini.
Sì, nel nostro Paese avviene anche questo: puoi notificare a qualcuno un debito inesistente e, se questi non si oppone (perché non ne viene a conoscenza), quel debito, che non era mai stato contratto, si trasforma in atti esecutivi e pignoramenti.
Nel nostro codice penale i tentativi di ottenere denaro che si sa non essere dovuto sono contemplati in ben precisi articoli. Ma il punto vero, caro Presidente Renzi, è un altro: quanto pesa sulla credibilità del nostro Paese all’estero una brutta vicenda come questa, che calpesta i principi Costituzionali?
Sappiamo che questo, fra tutti, è il tema che più le sta a cuore: l’onorabilità e il prestigio dell’Italia. Ed è proprio alla luce delle tante riforme che Lei sta conducendo per affermare tali valori che Le chiedo, presidente Renzi, in nome e per conto di Diego Armando Maradona, un Suo intervento, nei modi che riterrà opportuni, per porre fine ad una situazione imbarazzante ed ingiusta, assurda e nociva per il nostro Paese.
Maradona ed io, certi di poter contare sulla Sua lungimiranza e sensibilità, auspichiamo di poter organizzare un incontro per chiarire la realtà dei fatti ed augurarci tutti insieme che l’Italia possa ripartire con rinnovato slancio sui binari della legalità e dello sviluppo economico-sociale.
Con i migliori auguri di buon lavoro ed il nostro sostegno tutto.
Napoli, 12 febbraio 2015 avvocato Angelo Pisani
difensore di Diego Armando Maradona
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In allegato, la nota con i riferimenti giuridici sulla vicenda.
L’incostituzionalità del Caso Maradona – Nota con riferimenti giuridici
A differenza delle obbligazioni civili che possono trarre la loro fonte da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle, in ambito tributario, la fonte delle obbligazioni, ovvero del rapporto giuridico d’imposta tra fisco e contribuente, può essere esclusivamente legislativa.
Ed infatti, in base all’art. 23 della Costituzione: “Nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge”.
Tale norma esprime il cd. principio della riserva di legge in ambito tributario, da intendersi in senso assoluto quanto all’individuazione degli elementi essenziali dell’obbligazione tributaria (presupposto, soggetti passivi, principi di determinazione delle aliquote, sanzioni), relativo quanto alla disciplina di tali elementi, ben potendo la stessa legge istitutiva del tributo (o altro atto ad essa equiparato), demandare ad un regolamento o altra fonte subordinata, la disciplina dell’esecuzione del rapporto d’imposta stesso (ad esempio in ordine all’adempimento).
L’individuazione del fatto generatore di ciascuna pretesa tributaria, è quindi coperto da riserva assoluta di legge: è il Legislatore che attribuisce a determinate circostanze la qualità di indici rilevatori di capacità contributiva, ed in presenza delle quali fa sorgere in capo al contribuente che le realizza, l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche proporzionalmente al suo reddito (Cfr. art. 53 Cost.).
Tali circostanze costituiscono il presupposto dell’obbligazione tributaria, elemento indefettibile del rapporto d’imposta, oggetto dell’imposta e fatto costitutivo della stessa.
Nella determinazione del presupposto d’imposta, il Legislatore può attribuire rilievo a qualsiasi atto o circostanza di fatto che ritenga idonei ad evidenziare, anche indirettamente, l’attitudine economica di un soggetto alla contribuzione alle pubbliche spese.
Ad esempio, l’art. 37 ultimo comma del d.P.R. n. 600/1973 (come modificato dal D.L. n. 69/1989) consente all’Amministrazione Finanziaria in sede di accertamento o di rettifica, di recuperare a tassazione i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti ma che possono ritenersi imputabili al contribuente, quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.
Ebbene, la dimostrata sussistenza di una interposizione fittizia di persona costituisce il presupposto del rapporto giuridico d’imposta nascente dalla norma citata, la cui operatività ai fini della nascita del rapporto d’imposta è condizionata non solo a tale prova, ma anche alla dimostrazione dell’effettivo possesso delle somme che si ritengono presumibilmente imputabili al contribuente.
La vicenda tributaria di Diego Armando Maradona è stata originata da un accertamento presuntivo effettuato dall’Agenzia delle Entrate per gli anni di imposta dal 1985/1990, proprio in base all’art. 37 ultimo comma del d.P.R. n. 600/1973, sulla presunta sussistenza di un accordo trilatero di interposizione fittizia di persona tra la Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A., il Calciatore Diego Armando Maradona (oltre a De Olivera Filho Antonio “Careca” e De Brito Ricardo Rogherio “Alemao”) e le società estere di sponsor.
Sulla base di tale ipotesi, l’Amministrazione Finanziaria ha presunto la sussistenza di maggiori redditi da lavoro dipendente, rispetto ad i quali la SSCN, nella qualità di datore di lavoro (nonché sostituto d’imposta) avrebbe dovuto versare una maggiore somma a titolo di ritenute in acconto sul presunto maggior reddito – da lavoro dipendente – percepito da Diego Armando Maradona per il tramite delle società estere interposte fittiziamente.
Nel 1991, l’Agenzia delle Entrate notifica tale accertamento al solo sostituto d’imposta – la SSCN S.p.A. – che tempestivamente impugna dinanzi al Giudice Tributario, attivando un iter giudiziario che vede un primo accoglimento delle sue tesi con la Sentenza n. 126/01/1994 emessa dalla Commissione Tributaria di Secondo Grado, e la loro conferma con la Sentenza n. 598/01/2013 emessa dalla Commissione Tributaria Centrale. Da tali pronunce emergono i seguenti incontrovertibili elementi:
a. non vi sono prove idonee a dimostrare l’interposizione fittizia ipotizzata dall’Amministrazione Finanziaria;
b. non vi sono prove della effettiva percezione di maggiori somme da parte di Diego Armando Maradona.
Anche le indagini preliminari svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli hanno accertato che “… nella specie non sussistono elementi e riscontri concreti … per ritenere che i corrispettivi versati dalla S.S.C. Napoli alle Società D.A.M.P., T.W.W. e D.I.A.R.M.A., costituiscano in realtà elargizione di compensi al calciatore e che pertanto quest’ultimo, dichiarando soltanto i compensi corrispostigli dalla S.S.C. Napoli in base al contratto intercorso con essa, abbia presentato una dichiarazione infedele”.
Ed ancora, la Risoluzione n. 56/1064 del 16 ottobre 1990 del Ministero delle Finanze, ha affermato testualmente che “l’Ufficio non potrà insistere nelle proprie richieste ove non disponga di ulteriori elementi probatori, che giustifichino aliunde l’accertamento tributario”.
Alla luce di quanto emerso all’esito delle vicende giudiziarie predette, è chiara ed evidente l’esclusione del presupposto dell’obbligazione tributaria previsto dall’art. 37 ultimo comma d.P.R. n. 600/1973 che avrebbe legittimato l’operatività della norma stessa e consentito il recupero a tassazione dei maggiori redditi da lavoro dipendente presuntivamente imputati dall’Amministrazione Finanziaria a Diego Armando Maradona, in quanto è stata accertata ed affermata l’inesistenza di prove idonee a dimostrare la maggiore capacità contributiva pretesa.
In altre parole, la presunzione che aveva fondato l’attività di accertamento dell’Ufficio è rimasta al rango di mera ipotesi in quanto non è stata poi sorretta dalle dimostrazioni prescritte dal Legislatore quale condizione di applicabilità della norma.
Nonostante la sua posizione sia stata soggettivamente affrontata ed esaminata nei giudizi predetti, sebbene non chiamato ad integrazione del contraddittorio nel giudizio instaurato precedentemente dal suo sostituto d’imposta, Diego Armando Maradona realizza materialmente la contezza di una pretesa tributaria gravante anche nei suoi confronti solo nel 2001, attraverso la notifica di un avviso di mora avverso il quale propone opposizione. Com’è noto tale giudizio si è concluso in Cassazione con la Sentenza n. 3231 del 2005 che ha dichiarato inammissibile il ricorso del Calciatore ritenendo perfezionatesi, sebbene per il solo notificante, le notifiche espletate precedentemente all’atto impugnato, non addivenendo però ad alcuna statuizione di condanna.
Tale Sentenza, nonostante sia una sentenza di mero rito e non contenga alcun accertamento in ordine all’effettività della pretesa ed al quantum ipoteticamente dovuto, costituisce ad oggi l’unico atto, oltre all’estratto dei ruoli, nel materiale possesso dell’Agente della Riscossione e sulla cui base inverosimilmente pretende di proseguire la sua azione esecutiva, in piena violazione degli artt. 57 d.P.R. n. 602/1973 e 97 della Costituzione.
Ciò che deve essere sottolineato è che, ad oggi, l’Amministrazione Finanziaria e per essa l’Agente della Riscossione, continua a pretendere l’adempimento di una obbligazione tributaria destituita di ogni suo fondamento, e ciò nonostante il venir meno del presupposto oggettivo fondante la stessa, e, cosa ancor più grave, nonostante il venir meno del presupposto legislativo legittimante la pretesa. Il tutto senza voler tener conto inoltre che qualsivoglia obbligazione è dal 2003 oggetto di condono e quindi estinta anche per Maradona.
Difatti, se l’art. 23 della nostra Costituzione prescrive testualmente che “Nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge”, ed essendo stata giudizialmente esclusa – sia in sede civile che in sede pensale – l’operatività e l’applicabilità al caso di specie dell’art. 37 ultimo comma del d.P.R. n. 600/1973, a che titolo ancora oggi si pretende l’adempimento di un’obbligazione tributaria il cui fatto costitutivo o la cui fonte è stata esclusa?
Pertanto, è inevitabile considerare che la prosecuzione del preteso adempimento dell’obbligazione tributaria sorta sulla base di un presupposto presuntivo di cui all’art. 37 d.P.R. n. 600/1973, poi giudizialmente escluso per l’assoluta inesistenza di prove ed inidoneità contributiva, si scontra con i principi della nostra Carta Costituzionale di cui agli artt. 23, 53 e 97, in quanto stante l’inoperatività dell’art. 37 cit., non sussiste ad oggi alcuna legge in base alla quale potrebbe riconoscersi la legittimazione al prelievo di tali somme in ragione di un accertamento diverso e fondato a sua volta, su un diverso indice di capacità contributiva, derivandone pertanto, anche la violazione del principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’97 Cost., considerata appunto la funzione pubblicistica che essa svolge in ambito tributario principalmente orientata all’applicazione del tributo giusto ed alla determinazione quali/quantitativa del suo presupposto.
Angelo Pisani