Il tubo di scarico della cucina di un bar arriva sotto il solaio di un appartamento: i fumi e gli odori sprigionati dalla cottura dei cibi molestano la famiglia che vi abita. La III Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza 4 maggio 2012, n. 16670 condanna il gestore dell’esercizio per il reato di “emissioni moleste”, statuendo un’ammenda pari a cento euro, nonché duemila euro, a titolo di risarcimento dei danni, a favore della famiglia.
La ricorrente, titolare di una nuova gestione di un bar, lamenta che in sede di merito non è stato considerato che gli accertamenti erano stati eseguiti nel tempo in cui il bar era gestito da un altro soggetto e che la famiglia molestata non aveva sollevato alcun reclamo verso la nuova titolare dell’esercizio commerciale. Infine precisa che il Comune aveva autorizzato la ristorazione con un provvedimento dove si attestava che le immissioni non avrebbero potuto raggiungere livelli di intollerabilità. Lamentele, tutte, che gli ermellini hanno ritenuto infondate.
Motivando il rigetto, la terza sezione penale richiama e conferma quanto esplicitato dai giudici di merito, anche citando la propria pronuncia n. 2475 del 2007 secondo la quale risulta “configurabile il reato di cui all’art. 674 c. p. (emissione di gas, vapori o fumi atti a offendere o molestare le persone) in presenza di molestie olfattive promananti da impianto produttivo in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della stretta tollerabilità quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente e alla salute umana di quello della normale tollerabilità, previsto dall’art. 844 c.c.”