D’ora in avanti sistemi informatici blindati. Infatti risponde del reato di accesso abusivo anche chi ha la password del database ma entra con finalità diverse rispetto a quelle consentite dal titolare di tale sistema.
Componendo un radicato contrasto di giurisprudenza, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione con la sentenza n. 4694 del 7 febbraio 2012, hanno confermato la condanna a carico di un carabiniere che, pur essendo abilitato all’ingresso del sistema, lo aveva fatto non a fini investigativi a lui consentiti ma per svelare informazioni riservate a una conoscente. L’uomo si era difeso sostenendo che lui possedeva la password di ingresso al sistema e che per questo non era punibile ai sensi dell’articolo 615 ter del codice penale, indirizzato soltanto agli hacker.
A questa obiezione il Massimo consesso di Piazza Cavour ha risposto, aderendo a una giurisprudenza della quinta sezione penale del Palazzaccio piuttosto restrittiva, che “integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto, prevista dall’art. 615-ter cod. pen., la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto che, pure essendo abilitato, violi le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso. Non hanno rilievo, invece, per la configurazione del reato, gli scopi e le finalità che soggettivamente hanno motivato l’ingresso al sistema”.
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