«La Commissione Welfare ha adottato scelte progettuali che prevedono tecnologie che garantiscano riciclabilità dei materiali, risparmio energetico, qualità dell’edilizia, contenimento delle emissioni di C02, celerità di esecuzione». Danimarca? Tirolo? No, cronache dal consiglio comunale di Napoli, Corriere del Mezzogiorno, 15 maggio 2014.
Stasera è il 23 novembre 2014 e da Scampia, vedi foto, si levano come ogni sera fumi tossici così elevati da sembrare, in lontananza, funghi atomici. Provengono a ogni ora del giorno e della notte dalla zona del campo rom, i cui abitanti bruciano di tutto anche per ripararsi dai rigori del freddo.
La novità è che adesso, invece del Comune, a costruire le “case nuove” erano gli stessi rom, mattone dopo mattone, prima che intervenisse la Municipalità con l’aiuto dei carabinieri per fermare quegli edifici abusivi innalzati sotto gli occhi di tutti: anche dei tanti residenti che hanno la sola “colpa” di essere italiani. E magari un tetto non lo hanno mai avuto nemmeno loro.
Solo che per chi nasce col “peccato originale” di essere italiano, la legge parla chiaro: sigilli ai manufatti abusivi, poi denunce per violazione dei sigilli, infine nei casi più gravi, l’arresto. Ai bordi del campo rom, invece, si poteva godere di una straordinaria, felice condizione di “estraterritorialità”.
Interrogati dai rappresentanti della Municipalità durante il blitz di pochi giorni fa, alcuni rom intenti a costruire le case hanno risposto: “Il Comune aveva detto che ci dava gli alloggi nuovi. Non sono arrivati? E allora facciamo noi”. Giustificando la scelta con la prova di altre situazioni estreme interne al campo, a cominciare dai morsi dei topi mostrati da una madre sul corpo della sua bambina.
C’è naturalmente molto da discutere sul diritto alla casa per gli “ultimi fra gli ultimi”, a cominciare dal fatto che purtroppo in questa drammatica condizione sono finite migliaia di famiglie italiane, che vivevano in condizioni di precarietà già prima che la crisi spazzasse via dall’Italia il benessere conquistato dal ceto medio in cinquant’anni di dopoguerra.
Chi, allora, dovrebbe avere un diritto prioritario a quei moderni condominii lasciati balenare dal Comune a maggio, con “risparmio energetico, qualità dell’edilizia, contenimento delle emissioni di C02, celerità di esecuzione”? Le famiglie degli invalidi prigionieri nei sottotetti delle Vele? Gli anziani sfrattati anche dai parenti? Le giovani famiglie di napoletani disoccupati che vanno a vivere in macchina coi loro bambini? Oppure debbono tutti essere discriminati perché non sono né di nazionalità Sinti né Rom?
Non sappiamo se i ritardi del Comune nei lavori per i nuovi alloggi siano frutto della solita, vana annuncìte, o se invece vi siano stati ripensamenti alla luce delle tensioni sociali che stanno esplodendo in tutta Italia sui diritti degli ultimi.
Così come non sappiamo nulla ufficialmente su quello che avviene all’interno dei campi, non esiste un censimento nominativo degli abitanti che permetta la precisa identificazione di ciascuno, compresi tassi di natalità e mortalità, del tutto sconosciuti alle istituzioni.
In un Paese dove siamo tutti schedati da Equitalia, con dati anagrafici e codici fiscali inseriti nei computer di mezzo mondo, una logica di integrazione e di uguaglianza dovrebbe prevedere anche pari doveri fra cittadini italiani e stranieri.
Nessuno, però, vuol mettere mano seriamente a queste situazioni. Si preferisce rifugiarsi nella logica del “buonismo” che, come si è dimostrato in questi anni, fa male a tutti. L’unico vantaggio lo dà a quei pubblici amministratori che, eludendo il preciso dovere di tutelare salute e incolumità pubblica, si sottraggono a critiche e polemiche ammantandosi di buone intenzioni e promettendo soluzioni senza poi mai attuare nulla, nemmeno sul piano delle quotidiane emergenze.
Per questo, quando pretendiamo dai cittadini stranieri risposte su temi come nascite e sepolture, o quando ci adoperiamo in prima persona per limitare le esalazioni tossiche dai bracieri dei campi, noi non esercitiamo alcuna pratica xenofoba o razzista. Semplicemente chiediamo loro le stesse cose che chiediamo ai nostri connazionali. In un’ottica di elementare par condicio. O è troppo?
Sarà incentrato su questi articolati temi il Forum Nazionale contro il degrado (dentro e fuori i campi rom) che ospiteremo a Scampia nel mese di gennaio. Prevediamo un confronto aperto, nel quale saranno gli stessi stranieri a far sentire la loro voce, in tema di diritti, ma anche di doveri, come è accaduto durante il consiglio straordinario di Municipalità dei giorni scorsi, quando il dibattito con gli stranieri, pur dai toni accesi, ha mantenuto livelli di civiltà, a differenza di quanto accaduto con alcuni rappresentanti di certe associazioni abituate ad affrontare simili drammi con cene multietniche e corsi di musica folk.
Angelo Pisani