La Corte di Giustizia Europea, con una sentenza che farà sicuramente discutere, è intervenuta nella interminabile querelle che coinvolge la tutela del diritto d’autore su Internet stabilendo che i provider non possono imporre filtri al web per impedire agli utenti di scaricare file pirata, perché questa pratica è contraria al diritto comunitario.
In particolare i provider non possono diventare “sceriffi del web” poiché questa non è la loro funzione e d’altro canto costringere il provider ad un simile comportamento repressivo violerebbe il divieto di imporre ai gestori del social network un obbligo generale di sorveglianza, e l’esigenza di garantire il giusto equilibrio tra la tutela del diritto d’autore, da un lato, e la libertà d’impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni dall’altro lato.
In particolare, secondo la Corte di Giustizia, predisporre un sistema di filtraggio implicherebbe l’identificazione, l’analisi sistematica e l’elaborazione delle informazioni relative ai profili creati sulla rete sociale dagli utenti della medesima, informazioni, queste, che costituiscono dati personali protetti, in quanto consentono, in linea di principio, di identificare i suddetti utenti.
Inoltre l’imposizione di un filtro rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito.
Da un punto di vista normativo la Corte di Giustizia ricorda che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 vieta alle autorità nazionali di adottare misure che impongano ad un prestatore di servizi di hosting di procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso memorizza. Tale divieto, come sostenuto dalla stessa Corte abbraccia, in particolare, le misure nazionali che obblighino un prestatore intermedio, come un prestatore di servizi di hosting, a realizzare una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale. Peraltro, un siffatto obbligo di sorveglianza generale sarebbe incompatibile con l’articolo 3 della direttiva 2004/48, il quale enuncia che le misure contemplate da detta direttiva devono essere eque, proporzionate e non eccessivamente costose.
Alla luce anche di questa giusta decisione della Corte di Giustizia sarebbe ormai il caso di pensare ad un modo diverso di tutelare il diritto d’autore sul web, che si fondi su concezioni del tutto diverse da quelle di carattere tradizionale, che ma si conciliano con il mondo di Internet. La giusta chiave di lettura potrebbe essere quella di Richard Stallman, che nell’ottica di una consapevole condivisione dei saperi e delle informazioni, ha previsto un modo diverso di tutelare il diritto d’autore di opere dell’ingegno come i software, senza andare ad intaccare i principi fondamentali di tutela che vanno sicuramente sostenuti.
Atteggiamenti di carattere repressivo, imposizioni di polizia, controlli serrati sono tutti comportamenti che alla lunga producono risultati opposti a quelli voluti, sono contrari all’ordinamenti giuridico ed implicano inevitabilmente la violazione di altrui diritti fondamentali che giustamente la Corte Europea ha rilevato.
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