Qualche risposta a Roberto Saviano intervistato da Marco Imarisio per il Corriere
In merito alla lunga intervista di Marco Imarisio a Roberto Saviano su “Gomorra La Serie”, pubblicata domenica dal Corriere della Sera, avendo governato per cinque anni Scampia, il territorio divenuto “teatro” della fiction, ritengo doveroso replicare allo scrittore. Saviano infatti, pur incalzato dalle puntuali domande del giornalista, si è limitato a ribadire la sua verità: il male è nei fatti, non in chi li rappresenta. Senza riconoscere – forse proprio perché ormai distante fisicamente anni luce da quelle terre – l’autentica “mutazione antropologica” che quella stessa rappresentazione sta contribuendo ad alimentare.
Qui non si vuole certo fare del negazionismo e gli ultimi a farlo dovremmo essere proprio noi, che da difensori della parte civile stiamo ricostruendo gli orrori avvenuti in un’enclave camorristica come il Parco Verde di Caivano. Ma è proprio in virtù di questo inedito “superamento del fronte”, verificatosi tra alcune famiglie di ventenni e trentenni a Caivano, che chiediamo a Saviano di riflettere sulla sua posizione, ormai cristallizzata in decine di pubbliche affermazioni. Perché non è vero che la rappresentazione del male non possa produrre, nelle menti fragili di chi vive, nasce e muore senza punti di riferimento, danni irreparabili, peggiori del male vero in sé.
Certo, la narrazione cruda della realtà di Gomorra produce, come era nel suo intento, un salutare sussulto negli studiosi, negli storici e nei sociologi, così come nelle menti più avvertite e acculturate fra le giovani generazioni. Non ha prodotto alcun effetto nella classe politica locale – contrariamente a quanto da tutti auspicato – né tanto meno in quella nazionale, come si è visto. Portata in tv, assume invece effetti devastanti su quei “figli di nessuno” che vedono nei clan l’unica “impresa” pronta ad “investire” su di loro, come giustamente ha osservato lo stesso Roberto Saviano.
Al di là dell’imprinting morale e materiale indelebilmente lasciato su questa generazione, “Gomorra – La Serie” ha prodotto nel quartiere altri effetti non meno ignobili, che forse il grande scrittore ignora. Non li hanno ignorati David Doucet e Margherita Nasi, inviati a Scampia dal periodico francese lesinrocks con il dichiarato scopo di “andare alle radici di Gomorra”. «Dopo il lancio del film – scrivono – molti giovani hanno imitato gli atteggiamenti di Genny Savastano, uno dei personaggi principali. Frasi cult della serie tv sono diventate espressioni correnti tra i ragazzi. Senza contare la nascita, come effetto collaterale, di quella che viene definita nell’articolo “la nouvelle vague criminale”, i tredici-quattordicenni che terrorizzano i quartieri maneggiando all’impazzata armi da fuoco». E per meglio rendere il quadro, intervistano don Sergio Sala, parroco di Scampia, un uomo austero, lo definiscono i giornalisti francesi. Ai quali lui racconta: «i produttori vengono sempre in Chiesa a chiedere il permesso per girare le scene dei funerali. Si riproducono solo stereotipi. L’ultima volta che sono arrivati da me, ho scoperto che ai figuranti davano 25 euro al giorno. Allora ho rifiutato l’offerta che volevano lasciare alla nostra parrocchia. Ho detto: non vogliamo niente, ma aumentate la paga dei figuranti».
Intorno a quella misera paga a Scampia sono sorte autentiche “faide” tra i disperati, pronti a tutto pur di portare un piatto caldo in tavola il giorno dopo.
Consiglio a Roberto Saviano, malgré soi sempre in giro per il mondo, quanto capita a Parigi di fare un salto alla redazione da David Doucet. Forse capirà cosa sta davvero succedendo a Scampia, la “cinecittà di Gomorra”.
Avvocato Angelo Pisani
Presidente Ottava Municipalità di Napoli