Giovanni Sicignano, tirocinante presso il Tribunale di Torre Annunziata, assistente universitario in Diritto processuale civile alla Federico II e praticante avvocato, è l’autore di una importante tesi di laurea sulle obbligazioni solidali tributarie. Il documento è frutto di una dotta, accurata ed aggiornata sessione di studi e ricerche su questo strategico filone della Giurisprudenza.
Pubblichiamo integralmente la tesi di Giovanni Sicignano, che fra l’altro riguarda proprio la situazione giuridica in cui si era venuto a trovare l’asso argentino Diego Armamdo Maradona, difeso dall’avvocato Angelo Pisani.
«Questo studio dimostra ancora una volta e in punta di diritto – commenta l’avvocato Pisani nel presentare l’interessante lavoro di Sicignano – la piena e totale innocenza di Maradona dinanzi al fisco, come abbiamo da sempre sostenuto e più volte dimostrato».
La notifica dell’avviso di accertamento nelle obbligazioni solidali tributarie: il condebitore rimasto inerte può giovarsi del giudicato favorevole ottenuto dagli altri condebitori solidali che hanno impugnato vittoriosamente l’avviso di accertamento?
di Giovanni SICIGNANO
Sommario: 1. La vicenda della pluralità di parti nel processo tributario. 2. La posizione di dottrina e giurisprudenza prima della svolta delle Sezioni unite. 3. Una nuova figura di litisconsorzio necessario elaborata dalle Sezioni Unite della Cassazione. 4. Il secondo comma dell’art 1306 c.c. è norma di garanzia per il coobbligato solidale inerte. 5. I profili problematici nell’ambito della solidarietà tributaria: la facoltà di notifica dell’avviso di accertamento. 5.1 La giurisprudenza estensiva favorevole al coobbligato che non abbia impugnato l’avviso di accertamento. 5.2 Profili critici dei limiti elaborati dalla giurisprudenza e la posizione del Fisco.
1. La vicenda della pluralità di parti nel processo tributario
Nell’ambito del processo tributario, il D.P.R. 636/1972 nulla aveva previsto in ordine al giudizio con pluralità di parti. L’art. 39 del D.P.R. si limitava a effettuare un rinvio alle norme del Codice di procedura civile, “in quanto compatibili con le norme contenute nel presente decreto e nelle leggi che disciplinano le singole imposte”. Si ritenevano applicabili “gli artt. 99 e ss. c.p.c. in tema di esercizio dell’azione e, tra questi, gli artt. 102 e 103 c.p.c., concernenti il litisconsorzio necessario e facoltativo originario.”. La dottrina tributaristica ha a lungo discusso intorno alla figura del litisconsorzio necessario ed in particolare quest’ultimo veniva invocato perché poteva essere uno strumento utile per evitare contrasti di giudicato, aventi effetto nei confronti dei più titolari di situazioni plurisoggettive passive. Secondo una parte accreditata della letteratura giuridica: “L’oggetto del giudizio non è la titolarità dell’obbligazione tributaria, ma soltanto la struttura oggettiva e soggettiva della fattispecie”. La decisione non potrebbe pronunciarsi se non in confronto di tutte le parti “a causa dell’unitarietà del fatto e dell’intimo collegamento di esso con tutti i soggetti.”. Un’altra parte della dottrina invece ha fatto riferimento ai vari tipi di solidarietà tributaria. Infatti si sostiene che bisogna distinguere i casi in cui più soggetti sono obbligati alla stessa prestazione nell’interesse esclusivo di uno di essi dai casi in cui sono obbligati alla stessa prestazione in vista di un interesse che è comune a tutti. Quindi le obbligazioni tributarie paritetiche sarebbero assimilabili a un’obbligazione solidale in presenza della quale dovrebbe applicarsi l’art. 102 c.p.c. Un’altra corrente interpretativa, invece, negava che vi fossero nel processo tributario ipotesi di pluralità necessarie di parti, nonostante il dato letterale dell’art. 39 del D.P.R. Il punto fondamentale della questione è rappresentato dal fatto che il litisconsorzio è necessario quando occorre la partecipazione di tutti perché altrimenti la sentenza pronunciata sarebbe inutiliter data. La giurisprudenza ha sempre applicato restrittivamente le norme sul litisconsorzio necessario, in materia tributaria. Infatti, inizialmente la giurisprudenza faceva leva sull’art. 1306 secondo comma c.c., che era visto come lo strumento per avere decisioni univoche nei casi di solidarietà tributaria in quanto i condebitori solidali possono opporre al Fisco il giudicato favorevole ottenuto da un coobbligato. Quindi si escludeva o restringeva l’applicabilità dell’art. 102 c.p.c.
Nella seconda metà degli anni ottanta vi fu un’apertura della giurisprudenza, che ravvisò un’ipotesi di litisconsorzio necessario “nel processo avanti alle Commissioni nelle controversie tra sostituto d’imposta, sostituito ed erario, concernenti la legittimità delle ritenute alla fonte compiute dal primo.”. La dottrina ha sempre criticato quest’impostazione, sostenendo che non esiste alcuna ragione in virtù della quale l’Amministrazione debba intervenire in una lite tra privati. Anche in riferimento alle ipotesi di litisconsorzio facoltativo, il D.P.R. taceva e pertanto, in forza del rinvio contenuto all’art. 39, si ritenevano applicabili le norme del c.p.c. in quanto compatibili. Si ritenevano applicabili, nel processo dinanzi alle Commissioni tributarie, gli artt. 103 (Litisconsorzio facoltativo) e 104 (Pluralità di domande contro la stessa parte). Quindi erano ammessi i ricorsi collettivi (più soggetti impugnavano lo stesso atto), i ricorsi cumulativi (lo stesso soggetto impugnava più atti) e i ricorsi collettivi-cumulativi (forma combinata dei procedimenti). Questi ricorsi non erano ammessi illimitatamente, atteso che “il cumulo, in tanto è ammissibile, in quanto lo giustifichi una ragione di economia processuale.”. Era inoltre ammesso anche l’intervento adesivo ex art 105 secondo comma c.p.c. in presenza di un interesse della parte a sostenere le ragioni di una delle parti del giudizio. In questo caso: “Erano ammessi, a sostegno del ricorrente, l’intervento del terzo soggetto passivo d’un rapporto tributario dipendente dal rapporto di imposta cui si riferisce il processo tributario e quello del terzo soggetto passivo di un rapporto tributario non dipendente, ma semplicemente connesso con il rapporto posto in essere dall’atto impugnato.”.
2 La posizione di dottrina e giurisprudenza prima della svolta delle Sezioni unite
Con il D.Lgs. 546 del 1992 la lacuna precedente è stata parzialmente colmata: all’art. 14 del D.Lgs. è disciplinato il litisconsorzio necessario, mentre manca radicalmente una previsione per il litisconsorzio facoltativo. E’ possibile un’integrazione in virtù dell’art. 1 secondo comma del D.Lgs., a mente del quale “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del Codice di procedura civile.” La formulazione dell’art. 14, relativo al litisconsorzio necessario, è stata oggetto di critica da parte della dottrina, soprattutto in riferimento al raffronto tra il primo comma (“se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essa”) e il terzo comma, che disciplina la partecipazione facoltativa al processo dei “soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso.” Come si legge, la formulazione dell’art. 14 primo comma del D.Lgs. è diversa rispetto all’art. 102 c.p.c. Una parte della dottrina7 sostiene che la differenza sia solo formale e non reale, e che pertanto si possa applicare la stessa disciplina del Codice di rito. Un’altra corrente ermeneutica8 invece ha proposto di applicare con maggiore larghezza l’art. 14: infatti, alcuni Autori ritengono che non bisogna riferirsi solo all’art. 102 c.p.c., ma anche all’art. 331 c.p.c, che disciplina l’integrazione del contraddittorio nel caso di cause inscindibili nei giudizi di gravame. Un altro orientamento interpretativo ha ritenuto applicabile l’art. 14 D.Lgs. nei casi di atto inscindibile secondo la configurazione che viene fornita dalla giurisprudenza amministrativa “nell’ambito della quale, quando sono impugnabili atti amministrativi generali [...] deve partecipare al giudizio almeno un controinteressato.”9. L’opinione prevalente in dottrina però sostiene che l’art. 14 D.Lgs. sia una norma in bianco suscettiva di integrazione attraverso le elaborazioni di dottrina e giurisprudenza. Storicamente, le resistenze verso l’ammissibilità di fattispecie di litisconsorzio necessario derivavano dal fatto che il processo tributario è volto all’annullamento dell’atto e molto spesso la pronuncia di annullamento produce effetti erga omnes. Tuttavia, talune ipotesi di necessarietà del litisconsorzio sono state ravvisate, ad esempio, “nelle controversie catastali di cui all’art 2 comma 3 D.Lgs. 546/1992, allorché la particella o l’unità immobiliare urbana appartenga in compossesso a più soggetti”10. Un altro esempio di litisconsorzio necessario si ha in caso di successione mortis causa nel diritto controverso sub iudice: in tal caso la legittimità passiva si trasmette agli eredi che diventano litisconsorti necessari. La giurisprudenza è stata contraddistinta da due correnti ermeneutiche. Un primo orientamento si è protratto fino al 2007 11 e ravvisava pochissime ipotesi di litisconsorzio necessario. Per quanto concerne la solidarietà tributaria paritaria ancora oggi la Cassazione12 fa leva sull’art. 1306 secondo comma per escludere l’applicabilità dell’art. 102 c.p.c.: in virtù dell’art. 1306 secondo comma c.c. i condebitori solidali possono opporre al Fisco il giudicato favorevole ottenuto da un coobbligato. Affinché ciò sia tecnicamente possibile è ragionevole ritenere che debba essere dedotto in giudizio l’intero rapporto obbligatorio e la sentenza non sia fondata su ragioni personali al condebitore. La giurisprudenza di legittimità13 inoltre ritiene che non vi possa essere l’estensione se per quel condebitore che la invoca esiste un giudicato precedente contrastante. Altra condizione fondamentale per poter invocare l’estensione èche il condebitore sia rimasto estraneo al giudizio. Questo principio riceve dalla giurisprudenza tributaria un’applicazione ampia. Infatti:
“Tra le ragioni personali non è ricompresa la circostanza che l’impugnazione tempestiva sia stata proposta soltanto da parte di alcuni dei condebitori solidali. Il coobbligato che non abbia proposto ricorso contro l’avviso di accertamento può, dunque, invocare, impugnando i successivi atti della riscossione, il giudicato di annullamento ottenuto dal condebitore, al fine di contrastare la pretesa impositiva dell’Amministrazione che a tale giudicato non si sia conformata.”
Tuttavia un indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità15 sostiene che il condebitore abbia questa facoltà che può esercitare, ma se ha già pagato prima o dopo il formarsi del giudicato, non può ripetere quanto ha versato. In realtà questa giurisprudenza fa riferimento a una concezione dichiarativa del processo tributario. Il processo tributario invece ha natura costitutiva perché è volto all’annullamento degli atti illegittimi.
3 Una nuova figura di litisconsorzio necessario elaborata dalle Sezioni Unite della Cassazione
Recentemente c’è stata una svolta ad opera delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione16 in una vicenda che riguardava impugnazioni di accertamenti di maggior valore concernenti un atto di divisione. La Sezione Tributaria con ordinanza17 ha rimesso la questione al Primo Presidente ai fini dell’eventuale devoluzione alle Sezioni Unite, auspicandone una pronuncia in merito all’applicazione dell’art. 14 con riguardo alle situazioni di solidarietà paritetica e in particolar modo in riferimento alle controversie in cui “più debitori tributari contestano un unico atto impositivo in base a ragioni che investono la legittimità dell’atto nel suo complesso e non le singole posizioni individuali.” Inoltre si evidenziava il problema della “parcellizzazione” dei giudizi promossi dai singoli coobbligati, che può condurre alla pronuncia di sentenze diverse, benché concernenti il medesimo accertamento. L’ordinanza inoltre evidenziava che la regola del 1306 c.c. secondo comma non riuscisse a neutralizzare il rischio di giudicati contrastanti. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno fatto riferimento a due principi costituzionali fondamentali che sanciscono la necessità di una pronuncia giudiziale unitaria sulle impugnazioni degli accertamenti che riguardano più soggetti. Secondo le Sezioni Unite, infatti, gli artt. 3 e 53 Cost. “impongono, ad ogni livello, una coerenza del sistema nel rispetto della capacità contributiva” e contrastano “ogni ingiustificata disparità di trattamento.” La sentenza inoltre valorizza il principio in forza del quale bisogna tendere alla giusta imposizione, la quale non può essere vanificata dall’attività di imposizione o dalla verifica giudiziale dell’attività impositiva. Le Sezioni Unite nella sentenza non hanno assimilato l’art. 14 D.Lgs. all’art. 102 c.p.c., ma hanno sottolineato l’assonanza con l’art. 331 c.p.c. Le Sezioni unite collocano il litisconsorzio in una “dimensione esclusivamente processuale”. L’oggetto del ricorso è delimitato dai motivi di ricorso e l’inscindibilità dell’oggetto si ha ogniqualvolta ricorrano due condizioni: a) “la
fattispecie costitutiva dell’obbligazione” deve avere “elementi comuni a una pluralità di soggetti” e b) l’impugnazione proposta da uno o più ricorrenti deve riguardare proprio gli elementi comuni. Inizialmente questa sentenza adottata nell’ipotesi di obbligazioni solidali paritetiche, era stata salutata con favore da diversi Autori. Infatti:
“l’adozione della prospettiva litisconsortile per quanto concerne le controversie sugli accertamenti nelle fattispecie di solidarietà paritaria, avrebbe rappresentato, secondo tali Autori, la soluzione per il problema della differente sorte degli avvisi notificati ai diversi coobbligati, lasciato irrisolto dalla Corte Costituzionale con le celebri e ormai risalenti pronunce che dichiararono incostituzionale la c.d. supersolidarietà tributaria”18.
Nella motivazione della sentenza si legge che “l’inscindibilità che determina il litisconsorzio necessario tra i diversi soggetti coinvolti nell’accertamento tributario non nasce dall’essere tali soggetti coobbligati solidali nel quadro di un rapporto obbligatorio, ma dal loro essere titolari di un diritto reale su (porzioni) di un bene il cui valore sia determinato dall’Ufficio unitariamente.” Dopo questa pronuncia, l’orientamento di legittimità favorevole all’applicazione dell’art. 1306 c.c. si è progressivamente consolidato.19
La dottrina si era posta due quesiti: innanzitutto, si chiedeva se il nuovo litisconsorzio necessario stabilisse l’onere dell’Amministrazione di notificare tempestivamente gli avvisi di accertamento a tutti i litisconsorti. Ci si interrogava inoltre sul rimedio per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso. La sentenza del 2008 stabilisce che “è sufficiente che venga notificato e impugnato almeno un avviso di accertamento, perché si verifichi il presupposto del litisconsorzio necessario.” Non esiste un ordine nella notifica e pertanto basta che un sol soggetto impugni per determinare la partecipazione di tutti al giudizio litisconsortile. Quindi il fatto che l’Agenzia non notifichi gli avvisi di accertamento a tutti non impedisce lo svolgimento del giudizio litisconsortile. Ovviamente se il soggetto partecipa senza aver ricevuto la notifica e il fisco ottiene una pronuncia favorevole, si ritiene che poi il Fisco non possa agire verso coloro che non hanno ricevuto la notifica e pertanto l’eventuale partecipazione dei litisconsorti che non hanno ricevuto la notifica non sana i vizi del procedimento. Inoltre in riferimento alla seconda questione, anche i soggetti che non hanno impugnato il proprio avviso sono inclusi fra le parti necessarie (anche se a norma dell’art. 14 non possono impugnare autonomamente l’atto). Infatti nella sentenza del 2008 le Sezioni unite stabiliscono che “se così non fosse, la chiamata in causa e l’eventuale partecipazione al giudizio del contribuente si risolverebbero in un’inutile attività processuale.” Quindi “se, dunque, una o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell’avviso di accertamento, o avendola ricevuta non l’abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l’integrazione del contraddittorio nei loro confronti, mediante la chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 14 comma 2, D.Lgs. 546/1992, e la mancata integrazione del contraddittorio determina la nullità di tutte le attività processuali conseguenti e il regresso del giudizio in primo grado, ai sensi degli artt. 156 e 159 c.p.c.”20.
Inoltre le Sezioni Unite hanno stabilito che se tutte le parti o alcune di esse hanno proposto autonomamente ricorso bisogna procedere alla riunione dei giudizi. Normalmente il giudice, secondo il proprio apprezzamento, ha la facoltà di disporre la riunione, che è invece obbligatoria in caso di litisconsorzio necessario. Se, in particolare, i giudizi pendono dinanzi a Commissioni diverse, si applica l’art. 39 c.p.c. e la riunione va disposta dinanzi al giudice adito per primo.
4 Il secondo comma dell’art 1306 c.c. è norma di garanzia per il coobbligato solidale inerte
L’art. 1306 secondo comma c.c. riconosce una facoltà importantissima per i condebitori e per i concreditori rimasti estranei al giudizio: infatti, dal punto di vista della solidarietà passiva, i condebitori rimasti estranei al giudizio possono opporre al creditore la sentenza pronunciata tra lo stesso creditore e gli altri condebitori, a condizione che non sia fondata su ragioni personali al condebitore. Analoga facoltà è riconosciuta ai concreditori che sono rimasti estranei al giudizio e pertanto possono opporre al debitore la sentenza pronunciata tra il debitore e i concreditori solidali ferme restando le eccezioni personali che il debitore può opporre a ciascuno di essi. Un orientamento dottrinale molto condivisibile sostiene che bisogna distinguere i casi di giudicato favorevole e sfavorevole: infatti, secondo questa tesi, nei casi di giudicato sfavorevole non ci può essere estensione. Viceversa, se il giudicato è favorevole, può operare l’estensione degli effetti. Occorrono due precisazioni: la prima concerne il fatto che l’art. 1306 secondo comma c.c. stabilisce una facoltà del condebitore o concreditore: l’esercizio della facoltà è eventuale ed è rimesso ad una valutazione discrezionale effettuata dalla parte. Inoltre bisogna precisare che il condebitore o concreditore tecnicamente non può avvalersi di questa facoltà quando risulta già vincolato da un altro giudicato, anche se appartenente allo stesso giudizio. Sovente accade che esiste già un giudicato che vincola il condebitore o concreditore magari perché i soggetti hanno effettuato scelte processuali diverse: in tal caso esiste una preclusione. Di conseguenza in queste ipotesi, il condebitore o concreditore non può esercitare questa facoltà. Infatti “come ripetuto dalla giurisprudenza, l’obbligazione solidale determina la costituzione non già di un unico rapporto obbligatorio, con pluralità di soggetti dal lato attivo o passivo, bensì di tanti rapporti obbligatori, tra loro distinti, quanti sono i debitori e creditori solidali, per cui i vari debitori che abbiano partecipato al giudizio in cui le domande sono state proposte cumulativamente rimangono soggetti alle preclusioni derivanti dal giudicato formatosi nei loro confronti.”
Quindi l’estensione degli effetti non è automatica ma è rimessa alla scelta della parte che intende avvalersene, con le eventuali preclusioni derivanti dal giudicato.
5 I profili problematici nell’ambito della solidarietà tributaria: la facoltà di notifica dell’avviso di accertamento
L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse. Si tratta di una tipica attività amministrativa, il cui fine, indicato all’art. 53 Cost., consiste nella necessità di garantire che tutti contribuiscano alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. In particolare si evidenziano i seguenti caratteri tipici dell’attività amministrativa: il potere dell’ufficio di modificare unilateralmente la posizione giuridica del contribuente con l’emissione di atti (in genere avvisi di accertamento o di rettifica), idonei a diventare definitivi se non tempestivamente impugnati dal contribuente; il potere di riesaminare l’atto, nonché modificarlo o annullarlo in presenza di vizi, anche dopo che esso sia diventato definitivo: si discute se si tratti di mera facoltà o se, almeno nei casi di vizi più gravi e manifesti, si tratti di un vero e proprio dovere nei casi in cui la soluzione non si possa rinvenire tout court nel codice civile. In dottrina vi è chi ha sottolineato che:
“il codice può fornirci il principio, al quale ispirarsi per risolvere tale problema. Se la solidarietà implica pluralità di debitori per un’unica prestazione, e, quindi, adempimento di uno per tutti, la faccia speculare di ciò è la facoltà del creditore di rivolgersi a sua scelta ad uno o ad alcuni o a tutti i debitori. Un obbligo di rivolgersi a tutti non ha alcuna ragion d’essere se, poi, è uno soltanto che può essere costretto ad adempiere, con efficacia liberatoria per tutti. Da ciò, in diritto tributario, la facoltà di notificare l’accertamento ad uno, o ad alcuni, o a tutti i debitori; e, di riflesso, l’esclusione dell’obbligo di notificare l’avviso a tutti.”22.
Una simile impostazione rischia però di mettere a repentaglio alcuni principi costituzionali. Il primo principio che viene in rilevo è quello della capacità contributiva. E’ stato osservato che: “la facoltà del Fisco di non notificare l’accertamento a tutti sarebbe contraria al principio di capacità contributiva, soprattutto con riguardo ai casi in cui la capacità contributiva è da riferire ai diversi condebitori, non in modo indistinto, ma in proporzione alle rispettive quote. In tali casi, la facoltà predetta aggraverebbe l’incostituzionalità riscontrabile nella fattispecie sostanziale, a causa del fatto che il legislatore pone l’obbligazione tributaria per l’intero a carico di tutti.”
Un altro principio fondamentale è quello di imparzialità della pubblica amministrazione, infatti si ritiene che questa facoltà concessa al Fisco “urta contro il principio costituzionale che impone viceversa all’Amministrazione di perseguire inderogabilmente nella sua attività criteri di parità di trattamento.”
In dottrina25 vi è chi dissente rispetto a quest’impostazione interpretativa perché la corrente sovraesposta ritiene che nel caso in cui l’avviso di accertamento non venga notificato a tutti i coobbligati, allora il carico economico del tributo grava solo su alcuni coobbligati (i.e. quei coobbligati che hanno ricevuto l’avviso di accertamento). Invero, il richiamo effettuato all’art. 53 della Costituzione risulta essere fuori luogo perché la norma costituzionale riguarda la disciplina sostanziale dei tributi e non l’assetto procedimentale. Si rileva infatti che: “il richiamo dell’art 53 Cost. è pertinente quando si discute della circostanza che, attraverso il meccanismo della solidarietà, l’imposta è addossata a soggetti a cui non è riconducibile, in tutto o in parte, la manifestazione di capacità contributiva colpita dal tributo, e non lo è, invece, quando l’art.53 viene richiamato per verificare la costituzionalità di norme e aspetti procedimentali del diritto tributario.”26. Per quanto concerne il principio di imparzialità dell’attività amministrativa, alcuni Autori27 si sono chiesti se da questo principio possa derivare o meno l’obbligo di notifica a tutti i coobbligati. Parte accreditata della scienza giuridica28 ritiene che dall’art. 97 Cost. non discenda l’obbligo di notifica a tutti i coobbligati.
Infatti: “a ben vedere, anche questo argomento è fondato sul presupposto che il carico economico dell’imposta ricade solo su colui a cui è notificato l’accertamento: costui potrebbe quindi lagnarsi della violazione del principio di imparzialità ex art. 97 Cost., (ma pare invocabile anche il principio di eguaglianza), in quanto il carico dell’imposta sarebbe addossato a lui soltanto, e non a tutti i soggetti indicati dalla legge come obbligati in solido. Ora, non c’è dubbio che se l’avviso è notificato ad un condebitore, e non ad altri, nei confronti del Fisco sarà “inciso” dall’imposizione solo tale soggetto, ma ciò non influisce sul riparto dell’onere del tributo nell’ambito dei rapporti interni tra coobbligati in solido. Però, l’unico debitore, a cui sia stato notificato l’avviso di accertamento, e che subisca il prelievo, non ha di che lagnarsi nei confronti del Fisco.”
Questa opzione ermeneutica pertanto ritiene che la facoltà di notifica che è concessa al Fisco non contrasti con i principi costituzionali e che dal punto di vista del rapporto tra creditore e coobbligati, non esista lo stesso trattamento tra coobbligati. Invero, si sostiene che solo l’azione di regresso di chi ha pagato possa riportare l’equilibrio nei rapporti interni.
5.1 La giurisprudenza estensiva favorevole al coobbligato che non abbia impugnato l’avviso di accertamento
Non tutte le norme del codice civile sono applicabili sic et simpliciter in ambito tributario. Diversi problemi comporta l’applicazione dell’art. 1306 secondo comma c.c., che estende l’efficacia del giudicato relativo a rapporti solidali. Si è già rappresentato (cfr. supra § 5) come il Fisco abbia una mera facoltà (e non obbligo) di notifica a tutti i coobbligati dell’avviso di accertamento. Può accadere che l’avviso sia comunque notificato a tutti e due sono le opzioni principali: o tutti i coobbligati impugnano l’avviso, o solo alcuni impugnano e altri restano inerti. Poiché sussistono più rapporti ontologicamente diversi (anche se collegati tra loro), è possibile che vi siano situazioni giuridiche difformi ed esiti difformi. La problematica riguarda la sentenza emessa tra il creditore e un condebitore e bisogna capire se sia applicabile l’art 1306 c.c. In realtà occorre precisare che anche se l’art 1306 c.c. si riferisce semplicemente alla sentenza, quest’ultima vada intesa come passata in giudicato. Infatti, “veramente, il codice parla solo di efficacia ed inefficacia della sentenza, ma si intende che ciò può dirsi solo di una sentenza passata in giudicato, perché, fin quando manca la cosa giudicata, la sentenza non fa stato tra le stesse parti del processo, e quindi a maggior ragione non può essere efficace rispetto a coloro che al processo non hanno partecipato.”
Il secondo comma della norma garantisce coloro che non abbiano assunto la qualità di parte del processo, introducendo una deroga rispetto al primo comma. La norma di cui al secondo comma “è stata introdotta non per ragioni tecniche, ma in base a una valutazione degli interessi in conflitto, consentendo in via eccezionale che la sentenza venga utilizzata dai coobbligati che non hanno preso parte al giudizio, se ad essi favorevole. E’ da sottolineare poi che “anche quando la sentenza è favorevole agli altri litisconsorti, non se ne ammette un’efficacia immediata, ipso jure, nei loro confronti, ma semplicemente si attribuisce ad essi il potere di avvalersene; perciò il giudice non potrebbe rilevare d’ufficio tale estensione di efficacia, cioè, in definitiva, l’esistenza della prima sentenza (neanche quando, essendo essa favorevole agli altri consorti, si presenti come eccezione di cosa giudicata, mentre invece tale eccezione è rilevabile d’ufficio quando ricorre tra le medesime parti del primo giudizio), ma all’uopo occorre che sia invocata dall’avente diritto.” Infatti, mentre il primo comma statuisce che la sentenza “non ha effetto” rispetto agli altri consorti, rimasti estranei al giudizio, il secondo comma utilizza una formulazione diversa: vi si legge infatti che gli altri debitori “possono opporla” (e che gli altri creditori in solido “possono farla valere”).”30.
Prima della sentenza31 della Corte Costituzionale che ha rilevato l’illegittimità costituzionale della supersolidarietà tributaria, non c’erano problemi ad ammettere l’estensione dell’efficacia. Oggi, venuta meno la supersolidarietà, bisogna guardare solo all’art. 1306 c.c. secondo comma alla luce del principio in virtù del quale si estendono i soli effetti favorevoli. Nonostante l’intervento della Corte Costituzionale, la supersolidarietà è rimasta sempre sullo sfondo e di esse si trovano tracce in alcune sentenze. Una prima sentenza da dover considerare è la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione :
“in essa, si è sostenuto che il principio previsto dall’art 1306 c.c., secondo cui la sentenza pronunciata tra il creditore e uno dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori (i quali, peraltro, se favorevole, possono opporla al creditore) presuppone non solo che tra il creditore e uno dei condebitori solidali sia stata pronunciata una sentenza, ma anche che il creditore chieda al condebitore rimasto inerte il pagamento del debito.”
La Corte di Cassazione ha considerato che l’interesse del condebitore rimasto inerte viene attualizzato solo dalla (ed al momento della) richiesta di adempimento rivoltagli dal creditore, in quanto, in mancanza di questa richiesta, “ritenere già sorto tale interesse in capo al condebitore, che non impugni tempestivamente l’atto di accertamento e in pendenza della tempestiva impugnazione di un altro condebitore, vorrebbe dire riconoscergli non già di poter utilizzare le disposizioni dell’art 1306 c.c., di cui mancano ancora i concreti presupposti, ma di potere far propria l’impugnazione tempestivamente proposta da altri e di poter interloquire sul merito dell’accertamento, in violazione della norma che assegna al debitore d’imposta un termine perentorio per contestare l’accertamento stesso.”
In questo caso si è precisato che l’estensione non concerne l’impugnazione tempestiva proposta da altro soggetto ma l’estensione concerne gli effetti (favorevoli) della sentenza ottenuta da chi ha impugnato.
Quindi questa giurisprudenza si rivela favorevole nei confronti del coobbligato che non impugna l’avviso di accertamento, ammettendo ch’egli si giovi del giudicato favorevole ottenuto dal condebitore che abbia impugnato. Ovviamente l’estensione degli effetti favorevoli della sentenza è subordinata ad alcune condizioni: la sentenza non dev’essere fondata su ragioni personali riferibili solo al condebitore ed inoltre il condebitore inerte deve manifestare la volontà di avvalersene. A tali limiti normativi se ne aggiunge uno di derivazione pretoria; la giurisprudenza ritiene che la previsione di cui al secondo comma del 1306 c.c. non operi quando il coobbligato abbia già adempiuto la propria obbligazione35 e agisca nei confronti del Fisco per ottenere il rimborso di quanto versato, opponendo il giudicato favorevole nei confronti degli altri condebitori.
Sotto altro punto di vista, però, la giurisprudenza ha interpretato estensivamente l’art. 1306 c.c., ritenendo che il relativo secondo comma si applichi non solo al coobbligato rimasto inerte, ma operi anche a favore di chi abbia proposto un ricorso inammissibile36. Anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di sottolineare l’importanza del secondo comma dell’art. 1306 c.c. perché “ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 53 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 del D.P.R. n.634 del 1972, nella parte in cui non consentirebbe al coobbligato non ricorrente di avvalersi del giudicato più favorevole formatosi in capo ad un altro condebitore ricorrente; [...]”37. Infatti la Corte ha stabilito che la questione è infondata “potendo sempre il coobbligato avvalersi della facoltà concessa dall’art 1306, secondo comma c.c. per tutte le obbligazioni solidali.”
5.2 Profili critici dei limiti elaborati dalla giurisprudenza e la posizione del Fisco
La giurisprudenza tributaria da un lato estende la tutela del coobbligato solidale che non abbia impugnato l’avviso di accertamento, ma dall’altro limita questa tutela. Un primo limite è rappresentato dalla formazione di un giudicato che già vincoli il coobbligato solidale: questo principio viene desunto dalla giurisprudenza civilistica. Quindi, in forza di tale primo limite, “non possono giovarsi del giudicato reso inter alios i coobbligati nei cui confronti si sia già formato il giudicato. Ciò può avvenire nel (non raro) caso in cui gli altri coobbligati presentino ricorso separatamente, ed i relativi processi abbiano esiti difformi.”39. Infatti può accadere che vi sia una sentenza di primo grado sfavorevole per i coobbligati solidali. A seguito di questa sentenza, alcuni coobbligati propongono appello mentre altri restano inerti: i coobbligati rimasti inerti, una volta che la sentenza di primo grado sfavorevole passa in giudicato, saranno vincolati a quel giudicato e di conseguenza non potranno opporre l’eventuale giudicato favorevole ottenuto dai condebitori che hanno proposto appello.
Un secondo limite è rappresentato dal fatto che il coobbligato solidale che abbia già adempiuto la propria obbligazione, non può giovarsi del giudicato favorevole nell’ambito del processo di rimborso. Un altro limite concerne il conflitto tra il giudicato e l’avviso di accertamento divenuto definitivo. Questo tema è al centro di un vasto dibattito. Un primo orientamento favorevole al Fisco sostiene che “la definitività dell’accertamento formatasi nei confronti di uno dei coobbligati (che non abbia impugnato l’atto), preclude a tale contribuente di giovarsi del giudicato (ad esempio, riduttivo del valore imponibile accertato) che un altro coobbligato ottenga ricorrendo contro il medesimo accertamento.”40. Quindi per quest’orientamento, l’avviso di accertamento, una volta divenuto definitivo, preclude al contribuente la possibilità di avvalersi del giudicato favorevole ottenuto da un altro coobbligato. E’ infine prevalso l’orientamento favorevole ai contribuenti, a mente del quale “il condebitore che non abbia impugnato l’avviso di accertamento può fondatamente impugnare, invocando il secondo comma dell’art. 1306 c.c., l’avviso di liquidazione dell’imposta che non abbia tenuto conto del giudicato. Occorre naturalmente che la sentenza che viene invocata non sia fondata sopra ragioni personali al condebitore che ha preso parte al giudizio, così come dispone espressamente lo stesso art.1306, secondo comma. Ma la giurisprudenza, in materia tributaria, pone una condizione ulteriore, ossia che il condebitore, che invoca il giudicato, non abbia pagato l’imposta.”41.
E’ doverosa un’ultima precisazione. Quest’orientamento, più favorevole per i contribuenti appare preferibile perché permette ad un contribuente rimasto inerte di impugnare un accertamento di maggior valore di un immobile (divenuto definitivo per gli altri contribuenti) beneficiando del giudicato favorevole ottenuto da un condebitore solidale che si è attivato vittoriosamente. Inoltre tale corrente interpretativa, appare meritevole di accoglimento se si aderisce alla tesi, sostenuta anche dalla Corte Costituzionale, secondo la quale il giudicato prevale sulla definitività dell’atto amministrativo. Tuttavia il problema non concerne il contrasto tra giudicato e provvedimento amministrativo non impugnato che è divenuto definitivo. Se ci si pone dal lato dei debitori, esistono tanti rapporti quanti sono i debitori, mentre per il Fisco invece il credito è soltanto uno. Di conseguenza il Fisco agisce nel rispetto delle norme che regolano l’imparzialità e il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Se ci si pone dal punto di vista della teoria costitutiva pertanto, dopo la pronuncia del giudice, non esiste una sentenza sostitutiva del provvedimento amministrativo. Infatti se il ricorso è stato accolto, l’atto è annullato per tutti. Se il ricorso è rigettato o accolto in parte, continua a produrre effetti. L’Amministrazione quindi deve scegliere se eseguire un avviso di accertamento divenuto definitivo perché tecnicamente non è stato impugnato oppure, in virtù dell’annullamento ottenuto da un altro condebitore, estendere gli effetti dell’annullamento anche al coobbligato solidale. La giurisprudenza segue la teoria dichiarativa, ma – se ci si pone nella prospettiva della teoria costitutiva – l’annullamento produce effetti erga omnes. Di conseguenza, il coobbligato solidale ha diritto a che la propria posizione riceva trattamento eguale rispetto a quella del coobbligato che ha impugnato e ottenuto l’annullamento. Questo diritto del contribuente è rafforzato dalla disciplina dell’autotutela.